I lavori di costruzione iniziarono nel 1933 e si conclusero nel 1941, sfruttando l’area precedentemente occupata dalla Società Anonima Zolfi.
In questa zona erano già presenti due edifici legati alla miniera di zolfo, che vennero inglobati nel nuovo complesso.
Nell’estate del 1940 furono completati i progetti dell’ingegnere Alessandrini di Bologna per un ampliamento che includeva un grande capannone rettangolare. Questo edificio raggiungeva la quota più alta del complesso, vicino alla cima del colle, sviluppandosi su quattro livelli sovrapposti. Seguendo il profilo della gola, i livelli si ampliavano progressivamente dal basso verso l’alto.
Mentre nelle costruzioni iniziali si osservavano linee guida ben definite, gli ampliamenti successivi al 1938 seguirono l’andamento della valle alla ricerca di terreni adatti, senza un ordine compositivo preciso. Gli sviluppi incrementali permisero un aumento della produzione, adeguandosi alle nuove commesse. Nella parte alta, i capannoni raggiunsero una superficie doppia rispetto alla parte bassa, articolandosi su cinque livelli sovrapposti.
L’ultima data riportata sui progetti è il 10 settembre 1941, per un grande capannone situato circa 40 metri sopra il livello stradale. Questo edificio era collegato alla parte bassa del complesso tramite una serie di padiglioni che, uniti a quelli preesistenti, formavano un’unica grande struttura.
A eccezione di tecnologie più complesse, come motori, strumentazioni e armi, l’intero processo di lavorazione avveniva all’interno dello stabilimento. La semplicità delle tecnologie impiegate per la costruzione degli aerei, come l’uso del legno per le ali e del metallo per la fusoliera, agevolava questa centralizzazione. Una volta completati, i velivoli venivano smontati in sottocomponenti (ali e fusoliera) e trasportati all’aeroporto Ridolfi di Forlì, a 15 km di distanza, dove venivano rimontati e preparati per il decollo in un capannone che impiegava circa 200 operai.
La struttura produttiva
Il complesso industriale Caproni funzionava come una moderna catena di montaggio, con i pezzi che si spostavano tra i vari livelli di produzione.
- Piano terra: Lavorazioni pesanti come meccanica, torneria e collaudo materiali.
- Primo piano: Operazioni di saldatura, montaggio e collaudo, con accesso alla rampa per scendere al livello stradale.
- Secondo piano: Segheria e verniciatura.
- Terzo piano: Falegnameria e intelaiaggio.
Nei capannoni intermedi tra la parte alta e quella bassa si trovavano la falegnameria al primo piano e il reparto di verniciatura al secondo, entrambi accessibili tramite una rampa carrabile. In spazi minori erano presenti officine per piccole lavorazioni meccaniche e rifiniture.
Adattamenti durante la guerra
Con l’intensificarsi della guerra e dei bombardamenti aerei, furono scavate due gallerie parallele davanti al complesso industriale, utilizzate per proteggere la produzione. Questi tunnel, posti a circa 60 metri di profondità, misuravano più di 120 metri ciascuno, per un totale di circa 4000 metri quadri. Una delle gallerie ospitava un soppalco per gli uffici amministrativi, mentre la produzione si spostava gradualmente negli spazi sottostanti, man mano che diventavano agibili. L’accesso ai tunnel avveniva tramite due ingressi: uno iniziale, dotato di marcacartoline per gli operai, e uno in fondo, utilizzato per il trasporto dei materiali. La terra di scavo fu utilizzata per riempire un fosso antistante, creando un piccolo aeroporto per aerei leggeri.
La produzione
Gli aerei prodotti nello stabilimento di Predappio furono:
- Savoia-Marchetti S.81 Pipistrello
- Caproni Ca.164
- Reggiane Re.2000
- Reggiane Re.2001
- Savoia-Marchetti S.M.79 Sparviero (soprannominato Gobbo maledetto).
Lo stabilimento produceva anche componenti per altri produttori del gruppo, come le Officine Meccaniche Reggiane di Reggio Emilia. Tuttavia, la produzione era limitata: nel 1937-38 furono completati solo 11 trimotori S.81, mentre dal 1939 vennero prodotti 351 esemplari del Ca.164 (compresi 71 per la Francia). Un ordine iniziale di 100 caccia Re.2001 CN fu ridotto a 10 a causa della carenza di motori e lamiere speciali. Verso la fine della guerra, si costruivano persino simulacri in legno per ingannare i bombardieri alleati.
Testimonianze
La produzione includeva anche ricambi per i vari modelli di aerei. Dina Flamigni, responsabile dei preventivi, ricorda come l’ufficio tecnico fosse in grado di elaborare disegni per ogni pezzo richiesto. La manodopera necessaria attirava lavoratori anche dalle zone limitrofe, spesso percorrendo lunghe distanze a piedi o in bicicletta. Per molti fu necessario trasferirsi con le famiglie a Predappio, dove potevano usufruire di servizi come l’assistenza sanitaria gratuita.
Un aneddoto descrive un operaio che, in una giornata di pioggia, si recava in bicicletta alla fabbrica, aggregandosi ad altri lungo il percorso. Giunti sul posto, gli operai depositavano le biciclette in una baracca, inserivano le gavette con il pranzo nei forni della mensa e timbravano le cartoline sotto la sorveglianza di guardie. Ai giovani operai era garantita un’ora di scuola retribuita ogni giorno, con materie tecniche e generali, inclusa aeronautica.
Infine, la fabbrica disponeva di un’infermeria ben attrezzata e offriva misure preventive, come latte distribuito nei reparti di verniciatura per ridurre i rischi di intossicazione.
Tratto da: www.madeinpredappio.it/foto/personaggi/locandina%20vl/loc4.pdf
FONTI:
https://cpcontainer.weebly.com/la-caproni.html
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Vorrei riuscire a capire una cosa, ad oggi lo stabilimento Caproni di chi è?
demanio militare, comune? sarei veramente felice di ottenere questa informazione