GIOCHI DI GUERRA NELL’EGEO
La mancata invasione di Rodi e Lero nei piani dell’Ammiragliato, 1938-1940
ENRICO CERNUSCHI
“ Veritas filia temporis ” (Aulo Gellio)
Secondo Arnaldo Fraccaroli, letterato e giornalista italiano della prima metà di questo secolo, nonché padre di Aldo, il noto storico e fotografo navale: ”La parola è stata data da Dio agli uomini per permettere loro di nascondere meglio il proprio pensiero”.
Probabilmente il Comandante Stephen W. Roskill, celebre autore di “The War at Sea”, la storia ufficiosa della Royal Navy durante la Seconda Guerra Mondiale, edita dall’Her Majesty Stationary Office tra il 1954 e il 1961, era nello stesso ordine di idee quando scrisse che: ”…sarà opportuno menzionare qui un’altra deficienza di cui la Royal Navy soffriva nel 1939. Nonostante la frequenza con cui, negli ultimi tre secoli, abbiamo dovuto condurre spedizioni militari oltremare e sbarcare su coste ostili, l’importanza delle operazioni anfibie come mezzi per sfruttare i benefici del potere marittimo sembra che sia stata completamente ignorata tra le due guerre. Pochissimo addestramento era stato dedicato a questi compiti specializzati mentre nessuna dottrina interforze era stata sviluppata dalle varie FFAA; nel 1939 avevamo appena cominciato a costruire alcuni degli speciali tipi di imbarcazioni necessarie per tali operazioni .”.[1]
In realtà, una volta dato per scontato che le operazioni anfibie sono forse la più evidente proiezione del dominio del mare, lo studio – nel più ampio contesto della situazione internazionale dell’epoca – dell’autentica storia delle “Combined operations” inglesi tra le due guerre permette di ricostruire, al di là della pur interessante origine di numerose soluzioni progettuali e dottrinali ancora oggi alla base delle moderne operazioni anfibie, la vera trama dei complessi rapporti esistenti tra Roma e Londra nella seconda metà degli anni Trenta. Diventa inoltre possibile individuare il momento esatto in cui la logica delle cose e la volontà degli uomini trasformarono la “tradizionale amicizia” anglo-italiana in un improcrastinabile conflitto per il controllo del Medio Oriente, secondo le linee di una catena di eventi apparentemente casuali -e ancora oggi incomprensibili al grosso pubblico- ma, in realtà, indissolubilmente legati alla complessa e silenziosa natura del potere marittimo e delle sue leggi.
Alla ricerca di una strategia, 1935-38
Nonostante il traumatizzante ricordo del disastroso sbarco anglo-francese di Gallipoli, nel 1915, i vertici delle FFAA britanniche avevano sviluppato per il 1931 una limitata dottrina comune in caso di sbarchi contrastati su costa nemica. A sua volta la Royal Navy, aveva progettato e realizzato, sia pure con gli spiccioli dei propri risicati bilanci postbellici, tre innovativi mezzi da sbarco dotati di rampa prodiera del tipo “ MLC(10) ”, da 20 t standard e 32 a pieno carico. Le nuove unità potevano trasportare fino a cento uomini equipaggiati o materiali vari per 10 tonnellate. Questi mezzi, ovviamente incapaci di lunghe navigazioni autonome, erano destinati ad essere rizzati sulla coperta dei trasporti truppe, venendo quindi filati in mare in prossimità delle coste avversarie. Gli “MLC”, secondo la nuova dottrina interforze inglese, erano destinati ad eventuali “colpi di mano”, da condurre a livello di compagnia o, al massimo, di battaglione. La realizzazione di queste sia pur modeste navicelle era di per sé notevole in quanto, con la sola eccezione della R. motocisterna Adige, di poco precedente, e delle successive, analoghe unità classe “Sesia” (Comunemente dette ”sbarcatruppe”)[2] , si trattava delle prime unità anfibie realizzate in serie tra le due guerre. Tuttavia la scarsa velocità delle “MLC”(5 nodi, col favore del vento e a macchina indietro!), la loro notevole rumorosità, favorita dall’infelice scelta della propulsione a idrogetto, e la mancanza di protezione fecero sì che questo primo tentativo di mezzo da sbarco, dalla carena a forma di uovo, fosse presto abbandonato, al pari di qualsiasi velleità anfibia, nonostante l’appassionata difesa delle nuove tattiche fatta da un ristretto numero di giovani ufficiali di stato maggiore. Fu soltanto nel 1934, in seguito all’improvviso e inatteso peggiorare dei rapporti anglo-italiani in Medio Oriente, che l’Ammiragliato riprese lo studio, puramente teorico, delle operazioni da sbarco, predisponendo l’anno successivo un primo piano per lo sbarco ad Assab, in Eritrea, di una brigata indiana. Nella primavera del 1936, in seguito all’imprevista avanzata italiana su Addis Abeba, il governo inglese accettò finalmente di aprire i cordoni della borsa ordinando d’urgenza, nonostante i ben noti limiti del disegno, sei ulteriori “MLC(10)”in vista di uno sbarco da eseguire a Pantelleria, obiettivo modificato di lì a pochi giorni dal sempre più frenetico gabinetto inglese in una ben più ambiziosa invasione della Sicilia che, ripercorrendo le orme garibaldine, sarebbe dovuta partire da Marsala.
Il successivo miglioramento dei rapporti anglo-italiani in seguito all’inatteso scoppio della Guerra Civile Spagnola pose però una rapida fine ai nuovi progetti anfibi inglesi.
Peraltro già nei primi mesi del 1937 il SIM (Il Servizio Informazioni Segrete del R.Esercito) era venuto in possesso di precise notizie sui piani britannici grazie a un’efficiente rete di emigrati Russi Bianchi in Gran Bretagna messa compiacentemente a disposizione degli italiani dai servizi moscoviti sin dal 1933.[3]
Queste informazioni, autentiche, verificabili ma non più attuali e, soprattutto, selezionate ad arte, svolsero un ruolo importante- se non decisivo -nella decisione, presa quello stesso anno, di fortificare Pantelleria, per tacere delle spettacolari grandi manovre condotte dal R. Esercito in Sicilia nell’agosto 1937 il cui tema, non a caso, prevedeva lo sbarco del partito “Rosso”, rafforzato da una brigata corazzata, sulle coste occidentali della Sicilia.
Sempre nel corso di quello stesso anno ebbe luogo in Inghilterra un infelice e poco marinaresco tentativo di ovviare alla troppo bassa velocità delle “MLC(10)” facendone rimorchiare cinque in una volta da un CT lanciato a 14 nodi al largo di Nab Tower, presso Portsmouth. L’ esperienza terminò bruscamente con la perdita dei mezzi coinvolti, che affondarono improvvisamente tutti come sassi per effetto degli specchi liquidi generati dagli spruzzi.
Questa non fortunata iniziativa era stata imposta dalle crescenti pressioni dell’ala intransigente del governo di Londra, intimamente fiduciosa della solidità dei rapporti instaurati con la Germania mediante il Patto Navale del 18 giugno 1935 e desiderosa, per numerose ragioni, di arrivare a una resa dei conti con il fastidioso governo di Roma. Tuttavia la fondamentale buona volontà britannica di quel periodo è evidenziata proprio dal netto rifiuto con cui Sir Thomas Inskip, Ministro per il coordinamento della difesa e Presidente del Gabinetto Imperiale di Difesa, respinse, nel giugno del 1937, la proposta del Ministro degli Esteri Antony Eden: “…di non scartare dalle ipotesi sul tappeto quella di una facile guerra (“ Single handed War ”) con l’Italia” preferendo mantenere la strategia del Commonwealth sulle consuete linee antigiapponesi e antisovietiche, rispettivamente in Estremo e Medio Oriente. Non è comunque senza significato che proprio in quella stessa occasione la Mediterranean Fleet(M. F. ), tradizionalmente formata, dal 1924 in poi, dalle uniche unità della Royal Navy sempre a tabella di guerra, e autentica “marina nella marina”, con un altissimo grado d’autonomia e un proprio Stato Maggiore, ordinò di rispolverare l’idea di uno sbarco contro un obiettivo italiano, facendo impostare a Malta tre “ X Lighters ”(motozattere) da 150 t[4] , oltre a diverse chiatte rizzabili in coperta sui grossi sommergibili della 1st Flotilla per piccoli colpi di mano sulle coste sicule.
La lenta realizzazione di queste unità e dei galleggianti, ancora incompleti all’inizio del 1939, conferma comunque il basso grado di proprietà che le FFAA inglesi continuavano ad assegnare alle operazioni anfibie.
Il risveglio britannico
Questo stato di cose cominciò peraltro a cambiare rapidamente dall’agosto del 1938 quando il Captain ( in seguito Ammiraglio) L. H. Maund, fino a quel momento uno dei più attivi e meno ascoltati sostenitori delle operazioni combinate presso la Royal Navy(nonché autore di un’interessantissima e rivelatrice storia degli sbarchi inglesi durante l’ultimo conflitto mondiale intitolata ”Assault from the sea”, edita da Methuen & CO a Londra nel 1949 e in seguito mai più ristampata), ricevette inaspettatamente dal Naval Secretary dell’Ammiragliato l’ordine di organizzare il prima possibile un apposito comitato interforze destinato a riformare la normativa anfibia fino a quel momento in vigore. Questa nuova emanazione dello stato maggiore avrebbe dovuto altresì progettare un nuovo mezzo da sbarco e predisporre i piani per un’esercitazione anfibia da svolgere entro il mese successivo.
Date le limitate risorse a disposizione il neo isituito consesso, denominato I.S.T.D.C.(Inter-Service Training and Development Centre) e subito integrato nella M.N.B.D.O.(Mobile Naval Base Development Organization, la base passeggera dei Royal Marines), organizzò innanzitutto le previste manovre il cui tema, simile a un’analoga esercitazione della marina francese dell’anno precedente, prevedeva la messa a terra di un raggruppamento su due battaglioni in prossimità di un importante porto nemico. Per quanto il Royal Army avesse destinato per la bisogna la 9° Brigata di Portsmouth, comunemente giudicata una delle unità di punta dell’esercito (e in quel momento agli ordini del generale Bernard Law Montgomery, futuro Visconte di El Alamein) l’esito dell’esercitazione fu reputato talmente disastroso dai giudici da raffreddare definitivamente i già scarsi entusiasmi dell’esercito inglese per gli sbarchi di viva forza per i successivi quattro anni. A parte il mancato conseguimento della sorpresa l’essere riusciti a mettere a terra uno solo dei due battaglioni- trasportati da incrociatori e CT – privi di armi pesanti e traghettati con le ordinarie imbarcazioni di bordo, assolutamente prive di protezione e avviate verso riva con i remi fasciati, secondo la migliore tradizione nelsoniana, nel doppio del tempo stabilito e atterrando, per di più, su una spiaggia sbagliata, non depose a favore della pianificazione, invero affrettata, dell’intera operazione. Alla fine comunque e al prezzo di un’unica vittima (il colonnello comandante il raggruppamento che, probabilmente memore del De bello gallico, si gettò per primo, completamente equipaggiato, in due metri d’acqua venendo salvato a stento) l’occasione fornì all’I.S.T.D.C. una quantità di utili insegnamenti.
Obiettivo Rodi
In seguito all’ennesimo rifiuto dell’esercito di mettere a disposizione una propria brigata per un’eventuale azione sulle coste italiane, la Royal Navy si risolse a cercare altrove le truppe necessarie. La marina britannica infatti, al di là della ricordata e solitaria M.N.B.D.O. (da qualcuno maliziosamente definita : ”Men Not To Be Posted Overseas”, data la notoria prudenza dell’Ammiragliato), non disponeva di altre unità complesse dei Royal Marines. A questo proposito, nel novembre del 1938, su suggerimento del Comando inglese del Cairo, si pensò di ricorrere a un reggimento su tre battaglioni dell’esercito egiziano.[5] Quello stesso mese fu quindi organizzata una manovra con i quadri sulla solita spiaggia di Nab Tower ricorrendo all’unica “MLC(10)” disponibile che imbarcò, per l’occasione, l’addetto militare del Regno d’Egitto a Londra. Neanche questa volta l’esercitazione fu giudicata un successo, tuttavia le nuove lezioni furono anch’esse attentamente studiate dal comitato anfibio inglese.
Prima della fine del gennaio ‘39 infine l’I.S.T.D.C., secondo la prosa dell’Ammiraglio Maud: “…vide sorgere la più brillante delle proprie giornate” (“The brightest morning”) in seguito all’arrivo dell’atteso ordine di approntare i piani definitivi per la presa delle isole di Rodi e Lero, nel Dodecaneso italiano.
Il governo inglese infatti (fortemente preoccupato sin dall’ottobre del 1938 per le proprie posizioni in Medio Oriente e in Iran in seguito all’aumentata minaccia sovietica e alle sempre più strette intese in corso tra Roma e Mosca), dopo l’insoddisfacente esito dei colloqui svoltisi dall’11 al 14 gennaio 1939 tra il Primo Ministro Chamberlain e il Capo del Governo italiano, si era definitivamente convinto dell’improcastinabilità di una futura crisi con l’Italia, decidendo di prendere l’iniziativa entro la primavera dell’anno successivo.[6] Certi che il governo di ”Mr. Mussolini” potesse resistere a tutto fuorché a una sconfitta, per quanto piccola, gli inglesi ritenevano che una veloce campagna navale, nell’ordine di due, tre settimane al massimo, fosse sufficiente per far cadere l’intera struttura militare e politica della penisola, sarebbe quindi seguita una “pace cartaginese” tale da garantire il Mediterraneo per almeno una generazione, ispirando contemporaneamente un salutare timore nei numerosi avversari potenziali del Commonwealth, primi tra tutti i russi. La parte principale di questo complesso piano, che prevedeva tanto l’attiva collaborazione militare francese quanto un’interessata neutralità della Germania, sarebbe spettata alle navi da battaglia e alla portaerei Glorious del 1st Battle Squadron della M. F. che, opportunamente rinforzato da altre unità maggiori distaccate dalla Home Fleet metropolitana[7], avrebbe assunto il controllo del Mar Ionio. l’interruzione del traffico con la Libia e ripetuti, pesanti bombardamenti delle città costiere avrebbero quindi provocato l’uscita della Squadra da battaglia italiana, destinata ad essere puntualmente annientata in una breve, risolutiva e poco costosa azione generale.[8]
La prima mossa dell’intero schema era comunque costituita da un improvviso sbarco turco a Rodi in risposta a non meglio specificate provocazioni italiane legate, a loro volta, al noto, non soddisfacente stato delle relazioni tra Ankara e Roma in merito alle isole dell’Egeo. L’azione turca sarebbe stata appoggiata “tecnicamente” dagli inglesi che sin dal 1935, seppellendo per l’occasione una ventennale inimicizia [9],avevano stretto un’importante intesa col dittatore anatolico Kemal Ataturk in doppia funzione antisovietica ed antiitaliana.
Il ricorso ai turchi, giudicati alleati più marziali degli egiziani [10], risolveva inoltre con un tratto di penna il fino ad allora grave problema della protezione aerea della forza da sbarco. Ancora all’epoca della Crisi di Monaco invero la Fleet Air Arm britannica aveva preferito sbarcare i pochi, vetusti caccia “Nimrod” ed “Osprey” disponibili (Questi ultimi addirittura più lenti degli idroricognitori imbarcati italiani “Ro.43”) preferendo far spazio a un maggior numero di aerosiluranti.
In effetti una delle maggiori preoccupazioni dei pianificatori inglesi (nonostante la dottrina ufficiale della Royal Navy avesse stabilito, nel 1936, che il bombardamento aereo era inefficace contro le unità maggiori o in presenza di un’adeguata difesa di artiglieria AA) era rappresentata dai prevedibili attacchi dei circa 50 aerei da combattimento (per metà bombardieri) della R. Aeronautica nel Dodecaneso contro i trasporti alla fonda impegnati nelle operazioni di sbarco. Proprio a questo scopo la marina britannica aveva pensato di raddoppiare il numero delle NPA veloci coinvolte, elevandolo da uno a due. Il successivo, negativo andamento, nel dicembre del 1938, delle prime prove dell’atteso monoplano da caccia imbarcato “Blackburn Roc” aveva inoltre costretto la marina britannica ad ordinare, di lì a poco, il biplano “Sea Gladiator”, per rinnovare ad interim gli squadron da caccia della flotta. La fretta di assicurarsi il nuovo velivolo era stata anzi tale da spingere l’Ammiragliato ad acquistare dalla RAF con procedura d’urgenza una partita di trentotto “Gladiator” in costruzione “navalizzandoli” per l’occasione, sia pure a prezzo di un generale scadimento delle prestazioni. Con un notevole tour de force i primi caccia del nuovo modello, non molto gradito dai piloti, iniziarono le prove a bordo già nel febbraio del ‘39. La possibilità di ricorrere agli aeroporti di Ankara semplificò naturalmente le cose anche se la Turk Hava Kuvvetleri, l’aeronautica militare turca, fino a quel momento forte di appena un centinaio di velivoli da combattimento, tra caccia e bombardieri, acquistati d’occasione in Polonia e negli Stati Uniti, approfittò subito della circostanza chiedendo ed ottenendo di comprare – a credito – i migliori apparecchi inglesi e francesi disponibili.
Nelle sue linee essenziali il piano di sbarco inglese, redatto grazie anche a una serie di ottime fotografie riprese clandestinamente da un aereo civile britannico che aveva infranto, all’inizio del ’39, il divieto di sorvolo di Lero dichiarato dalle autorità italiane l’anno prima,[11] prevedeva il rapido avvicinamento nottetempo della forza d’invasione e la messa a mare, fuori dalla vista dei difensori, dei mezzi da sbarco. Questi, una volta riuniti, si sarebbero silenziosamente portati all’incaglio mettendo a terra un Distaccamento Spiaggia formato da un battaglione di formazione dei Royal Marines (tratto dai distaccamenti di bordo delle unità maggiori), sulla lunga e accessibile costa sabbiosa di Afando, a Rodi. Sarebbe quindi seguite, nel giro di quattro ore, una compagnia su 12 carri armati medi “A9” e “A10” e un gruppo d’artiglieria. Dopo l’avvenuto consolidamento della testa di ponte sarebbe stata la volta dei battaglioni della divisione turca di Smirne, traghettati in parte con i nuovi mezzi da sbarco inglesi tipo “L.C.A.” da 8 t, (definiti nel novembre del ’38 e il cui prototipo era proprio allora in corso di completamento) e in parte con mezzi di fortuna (in massima parte Ccicchi) in grado di coprire in poche ore le trenta miglia marine che separano Rodi dalla rada di Marmaris sulla prospiciente costa turca. Le truppe della prima ondata e i materiali pesanti sarebbero stati trasportati da almeno tre delle quattro veloci motonavi da 18 n allora in costruzione per la “Glen Line”[12] mentre una divisione incrociatori avrebbe assicurato la protezione dalle forze navali della R. Marina nell’Egeo (Solitamente meno di una decina di siluranti, tra CT e torpediniere, altrettanti sommergibili e una dozzina di MAS, a parte le unità minori). La maggiore preoccupazione dei pianificatori inglesi, che davano per scontata una resistenza poco più che simbolica da parte delle truppe del reggimento del R. Esercito di stanza a Rodi, era rappresentata dalle numerose batterie costiere di medio calibro armate dalla Marina italiana. L’ammiraglio Maud osservò anzi con disappunto nel suo citato libro di essersi chiesto più volte come la notoriamente povera Italia (”bankrupt Italy”) avesse potuto installare tanti pezzi e tanti forti lungo le coste dell’arcipelago. Fedeli alla classica sentenza nelsoniana secondo cui, tra una batteria e una nave, a rimetterci è regolarmente quest’ultima, gli inglesi pensarono di assicurare il traffico diurno tra i mercantili alla fonda (Classificati “Infantry Assault ships”) e la costa mediante cortine fumogene. La Fleet Air Arm, subito investita del problema, non fu però in grado di assicurare con i propri velivoli lo stendimento di un’adeguata nebbia artificiale, di conseguenza la Royal Navy decise di provvedere per proprio conto mediante una versione modificata delle “L.C.A.” detta “L.C.S.(M)” (Landing Craft Support), che avrebbe dovuto provvedere all’appoggio di fuoco ravvicinato lungo le spiagge emettendo contemporaneamente un’adeguata cortina utilizzando materiali dell’esercito, rivelatisi più adatti alla bisogna.
Ai primi di febbraio, in coincidenza con le prime prove in mare della nuova “L.C.A.”, arrivò presso l’I.S.T.D.C. il generale turco comandante la divisione destinata allo sbarco. Dichiaratosi subito entusiasta dei materiali e dei piani sottopostigli l’alto ufficiale assicurò che la resistenza degli italiani sarebbe stata facilmente spezzata dai suoi uomini che, forti del successo ottenuto, avrebbero quindi investito gli ormai scoraggiati difensori di Lero. In marzo ebbe quindi luogo un’esercitazione di sbarco a Malta condotta con i vecchi materiali laggiù disponibili. La manovra convinse tutti dell’opportunità di almeno due azioni diversive da eseguire mediante sommergibili. Secondo questa nuova variante i battelli della 1st Flotilla avrebbero simulato un tentativo di sbarco inviando a terra piccoli nuclei di guastatori. Fu inoltre raccomandato l’uso di proiettori a raggi infrarossi per guidare gli L.C.A. verso le spiagge attraverso la nebbia artificiale. Venne altresì valutata l’opportunità di utilizzare come nave comando un piroscafo passeggeri opportunamente adattato, in luogo degli spazi sempre troppo sacrificati di un incrociatore.
Per i primi di aprile del 1939 infine l’I.S.T.D.C. assicurò l’Ammiragliato che le azioni mediante sommergibili potevano essere attuate nel giro di poche settimane mentre per un’incursione condotta da una brigata sarebbero stati necessari ancora sei mesi dalla data del rapporto. Subito dopo questa comunicazione l’Ammiragliato dispose le prime modifiche alle quattro ”Glen” ancora in costruzione ordinando contemporaneamente diciotto “L.C.A.”, due “L.C.S.(M)” e dodici ”L.C.M.”( Landing Craft Mechanized). Quest’ultimo tipo di unità era un mezzo da sbarco da 21 t (35 a p.c.) in grado di imbarcare un carro o fino a 100 uomini equipaggiati. Le ”Landing Ship Infantry” avrebbero dovuto trasportare un L.C.M. in coperta calandolo in mare con i propri alberi di carico mentre gli L.C.A. (dodici per nave) sarebbero bastate le normali coppie di gruette utilizzate per le imbarcazioni.
La calda estate del 1939
Il via all’operazione Rodi non era, d’altra parte, che una delle numerose misure formalizzate dal Piano di guerra dell’Ammiragliato del 30 gennaio 1939[13] e già affrontate con i francesi sei giorni prima nel corso di un colloquio tra il C.V. C. S. Holland, addetto navale britannico a Parigi, e l’ammiraglio Bourragué, Sottocapo di Stato Maggiore della marina francese. Nel rapporto su quest’incontro, non in agenda e fissato all’ultimo momento prima che Holland rientrasse d’urgenza a Londra l’ammiraglio francese annotò con compiacimento che:” Era stato dapprima convenuto che lo conversazioni degli Stati Maggiori franco-britannici avrebbero trattato solo il caso della Germania nemica e che non sarebbero stati posti problemi per altri paese, sia come alleati che come nemici. Di conseguenza si era convenuto che senza parlare dell’Italia come eventuale nemico si poteva pensare ad essa. Infine, nel settembre del 1938, è apparso che l’Ammiragliato britannico aveva pensato al Giappone come nemico eventuale…tutte queste intese non rispondono più alla situazione attuale. L’ammiraglio Bourragué propone che, d’ora in avanti, possiamo parlare dell’Italia. Per il Giappone, e per non complicare le conversazioni, sarebbe preferibile soltanto pensarvi “.[14] Secondo G. M. Stephen(“British Warship Design”, ed Ian Allan, Londra, 1985, pg. 40) la subitanea previsione di una guerra per il 1940 formulata nel gennaio 1939 da un preoccupato (“Anguished”, nel testo originale) Ammiragliato portò all’affrettata ordinazione, alla fine di quello stesso mese, delle prime 26 corvette classe “Flower”. Fu cioè scelto l’unico disegno disponibile (Quello delle baleniere classe ”Southern Pride”) realizzando un tipo di unità che si sarebbe ben presto rivelato insufficiente per le scorte atlantiche, pur essendo senz’altro valido per il Mediterraneo.
La natura antiitaliana, più che antitedesca, dei provvedimenti britannici è poi evidenziata da un discorso di Lord Halifax, ministro degli esteri e sostenitore della linea dura nel seno del gabinetto Chamberlain, rivolto agli altri membri del governo il 29 gennaio 1939. In effetti quel giorno il titolare del Foreign Office affermò che, nonostante le preoccupanti informazioni giunte nelle ultime settimane secondo cui: “…Hitler aveva definito gli inglesi come degli arroganti…che pretendono di dominare il mondo per l’eternità con 15 corazzate (Tre delle quali in corso di ricostruzione, N.d.R.) … non abbiamo le prove che il Führer si sia impegnato irrimediabilmente in questa operazione…”[15].
L’impostazione offensiva delle nuove misure britanniche è poi confermata da un’affermazione pubblica fatta dal premier inglese il 21 febbraio 1939 secondo cui il riarmo inglese, intrapreso nel 1937, aveva ormai assicurato la difesa della Gran Bretagna[16]. In termini ancora più espliciti questo stesso concetto era già stato enunciato privatamente da Chamberlain a Downing Street cinque giorni prima nel corso di un colloquio con Chaim Weizmann e Ben Gurion durante il quale il Primo Ministro dichiarò:”Una volta ci trovammo sull’orlo della guerra, e quella volta non eravamo preparati, né in patria né nel Mediterraneo. Da allora siamo divenuti assai più potenti; l’equilibrio delle forze è mutato e continua a mutare in nostro favore. In un prossimo futuro saremo in grado di affrontare qualsiasi situazione senza preoccupazioni eccessive”.[17]
A loro volta le puntualissime ed eccellenti informazioni ottenute ancora una volta dal SIM [18]sulle intenzioni inglesi, e il regolare prelevamento notturno del contenuto della cassaforte dell’addetto navale francese a Roma a opera del nucleo dei Reali Carabinieri per la Marina, assicurarono al governo italiano un adeguato quadro informativo sul rapido evolversi della situazione. In particolare, durante gli ultimissimi giorni del gennaio 1939, i vertici della R. Marina si opposero, peraltro inutilmente, alla consegna all’ U.R.S.S. del da poco completato Tashkent, il maggiore e più veloce esploratore del mondo, in considerazione dei gravi pericoli di guerra in corso in quel momento. Affermazione tanto più notevole in quanto in netto contrasto con la nota riunione dei Capi di Stato Maggiore del 26 gennaio 1939, durante la quale il Capo di S. M. Generale Maresciallo Badoglio, riferendo direttamente ed espressamente il pensiero del Capo del governo, aveva escluso qualsiasi ipotesi di nostri atti di guerra contro la Francia e la Gran Bretagna.
Il 20 febbraio 1939 inoltre, dopo aver tristemente constatato, una volta di più, il ritardo di oltre un anno ormai accumulato nella costruzione delle nuove navi da battaglia da 35 000 t e delle due “Duilio” rimodernate, ritardo imputabile alle ripetute modifiche del progetto ma, soprattutto, alla paralizzante mancanza di fondi che aveva angustiato la R. Marina dal 1936, l’allora Sottocapo di S.M. ammiraglio Wladimiro Pini, nel corso di un’apposita, decisiva riunione presso il Ministero della Marina, ordinò di trasformare la fino ad allora embrionale organizzazione dei mezzi d’assalto in un apposito, nuovo nucleo operativo, destinato a predisporre quanto prima i mezzi e i piani per un attacco alle unità maggiori della Mediterranean Fleet [19].
Nel corso di quello stesso mese infine la complessa situazione internazionale registrò un ulteriore aggravamento in quanto l’Unione Sovietica, forte del nuovo accordo commerciale e politico formalizzato con Roma il 7 febbraio, propose alla Turchia e alla Romania, in termini invero piuttosto ultimativi, un “Patto del Mar Nero” redatto sulla falsariga di quello presentato il mese prima alla Finlandia e da questa fermamente rifiutato. Il trattato prevedeva, in buona sostanza, il rigido allineamento della politica estera di Ankara e Bucarest ai voleri di Mosca, oltre alla cessione di alcune basi aeronavali sugli Stretti, in cambio di non meglio precisate compensazioni territoriali. Naturalmente entrambi gli stati balcanici si affrettarono ad invocare la protezione dei tradizionali alleati francesi ed inglesi.
Dopo che, il primo di marzo del 1939, il Primo Lord del Mare, ammiraglio Sir Roger Backhouse, aveva suggerito al governo che una serie di duri colpi (“hard blows”) contro l’Italia avrebbero assicurato alla Gran Bretagna la vittoria[20] l ’ invasione di Pasqua dell’Albania, decisa a Roma in quello stesso mese di marzo subito dopo che il governo sovietico si era impegnato a raddoppiare le proprie già importanti forniture petrolifere all’Italia,[21] non poté che eccitare al calor bianco le proteste e i timori del governo turco, tanto più che il 27 aprile il Vice commissario per gli esteri sovietico Potenkin, già artefice, nel 1933, del Patto di amicizia italo-russo, si recò in visita ad Ankara rimanendovi otto giorni di seguito durante i quali alternò alle blandizie diplomatiche le non nascoste mire di Mosca su Bosforo e Dardanelli, per tacere dei distretti caucasici di Kars e Batum strappati dai turchi alla Russia rivoluzionaria nel 1921. In risposta all’ambasciata russa, replicata da Potenkin a Bucarest dove, tra il 5 e l’8 maggio, rivendicò all’Unione Sovietica la Bessarabia zarista dopo una fulminea fermata in Bulgaria (Da vent’anni ”amica particolare” sia dei tradizionali protettori russi sia dell’Italia, che ne aveva anzi favorito dal 1932 il riarmo incrementandolo nel ‘39) Parigi e Londra intrapresero un continuo succedersi di missioni militari sul suolo turco la prima delle quali, allestita in tutta fretta e guidata dal prestigioso generale francese Maxime Weygand atterrò a Istanbul il primo maggio 1939. Naturalmente il generale Ismet Inonu, successore di Kemal Ataturk, approfittò dell’occasione per alzare ulteriormente il prezzo del proprio aiuto ottenendo quello stesso mese dalla Francia la sospirata cessione di Alessandretta, apertamente rivendicata da Ankara sin dal 1936 e che Parigi aveva cercato di conservare in tutti i modi arrivando a creare, pochi mesi prima, un effimero ”Stato dell’ Hatay ”. Il relativo trattato fu sottoscritto il 23 giugno 1939 in coincidenza con una nuova richiesta turca ai danni della Siria riguardante questa volta la promettente zona petrolifera di El Ghesira. In cambio il governo di Ankara, in occasione della firma del pur generico Patto d’intesa anglo-turco del 12 maggio 1939, affermò unanimemente e inequivocabilmente davanti all’Assemblea Nazionale che: “La Turchia si è decisa ad affiancarsi all’Inghilterra perché gli ultimi avvenimenti in Europa l’avevano convinta che era impossibile mantenere la neutralità fino a quel momento osservata ”. Due giorni dopo il Capo del Governo italiano, desideroso di beneficiare subito della controassicurazione tedesca concordata inaspettatamente e segretamente il 6 maggio di quello stesso anno, dopo aver respinto per tre anni di fila le ripetute profferte di Berlino per un’alleanza militare, annunciò al mondo il “Patto d’acciaio” con la Germania, facendolo sottoscrivere nella nuova cancelleria del Reich una settimana dopo.
Poco prima della fine di quello stesso mese di maggio salparono poi per il Dodecaneso i tre grossi cacciatorpediniere Pigafetta, Zeno e Da Verazzano, primo significativo rinforzo inviato in quel possedimento.
La formalizzazione dell’intesa italo-tedesca raffreddò automaticamente gli entusiasmi interventisti del governo francese e dell’Armée (Non quelli della Marine nationale[22]), subito ipnotizzati dalla frontiera sul Reno. Gli inglesi viceversa, nonostante l’ormai concreto pericolo, accettato serenamente dal Gabinetto ristretto il 22 giugno del 1939, di dover affrontare l’anno successivo una guerra contro la Germania in seguito a un’invasione tedesca della Polonia (La cui resistenza venne preventivata per non più di sei mesi), ritennero di non dover deflettere di un solo grado dalla rotta intrapresa[23], tantopiù che già dalla fine di maggio erano incominciate a pervenire notizie sempre più circostanziate di un imminente scontro di frontiera greco-bulgaro, sullo stile della breve “Guerra dei Carpazi” combattuta nel marzo precedente tra ungheresi e slovacchi e conclusa con una cospicua mutilazione della ex Cecoslovacchia, abbandonata ormai, dopo troppe promesse, dai vecchi alleati anglo-francesi.
Secondo le fonti dell’Intelligente e dello stesso governo di Atene, solitamente bene informato, all’attacco di Sofia sarebbe dovuto seguire un improvviso, veloce colpo di mano italiano su Salonicco lanciato da Agirocastro (sede della da poco arrivata Divisione Centauro, una delle tre divisioni corazzate italiane e l’unica destinata a ricevere, in base ai piani redatti all’inizio del maggio di quell’anno, i primi due battaglioni, appena costituiti, di carri medi “M 11/39”) attraverso il poco munito confine ellenico[24].
Secondo l’opinione corrente il successo di questo piano avrebbe automaticamente comportato la resa a discrezione greca e la perdita del controllo dell’Egeo e del Mediterraneo orientale, senza che Francia e Gran Bretagna avessero modo di poter intervenire, se non a patto di scatenare una guerra generale.[25]
Ferma restando infatti la nessuna propensione britannica a rischiare sul suolo balcanico anche uno solo dei pochissimi battaglioni del Royal Army sparsi nel Medio Oriente, il lento sviluppo del dispositivo militare francese in Siria intrapreso dall’aprile del 1939 non aveva ancora superato, nel giugno di quell’anno, la forza di un modesto raggruppamento mobile su un reggimento di cavalleria e un battaglione corazzato su ”R 35 ”. Per quanto il previsto trasferimento di truppe senegalesi dal Nordafrica francese a Beirut fosse stato accelerato a partire dall’inizio dell’estate i vertici militari parigini prevedevano di poter avere a piè d’opera in Siria la prima delle sei divisioni necessarie per difendere Salonicco soltanto in autunno. La penuria di naviglio da trasporto, la temuta chiusura del Canale di Sicilia a opera dei mezzi insidiosi della R. Marina e la decisa opposizione della maggioranza del governo e dell’esercito francese a precipitare le cose con Roma (Quantunque il 4 aprile 1939 gli stati maggiori inglese e francese avessero concordato che, in caso di guerra contro la Germania e l’Italia, si sarebbe passati all’offensiva contro l’Italia in quanto potenza più debole dello schieramento nemico) rendevano improbabile un’eventuale intervento di Parigi sul suolo ellenico.
La Gran Bretagna viceversa, convinta di avere nella Royal Navy la carta decisiva per bloccare sul nascere qualsiasi velleità offensiva italiana nell’Egeo, per tacere delle mire russe sul Mar Nero, dispose il 15 giugno il richiamo e il riarmo della “Flotta di Riserva”. Questa misura, completata per il primo di agosto, superava di gran lingua i precedenti, limitati richiami di alcune categorie di riservisti effettuate dalla marina inglese all’epoca della questione etiopica del 1935 e della stessa crisi di Monaco dell’anno precedente[26].
Uno sbarco improvvisato
Naturalmente questo nuovo scenario, dove il tempo si misurava ormai non più a mesi o a settimane ma a giorni, se non ad ore, superò il piano per l’invasione di Rodi fissato per l’aprile del 1940. Già nel giugno del 1939 l’ammiraglio Cunningham, nuovo Comandante della M.F. al posto di Sir Dudley Pound, diventato Primo Lord del Mare dopo la morte di Sir Backhouse, aveva rassicurato il governo (sia pure con qualche prudente ambiguità in quanto, con un subitaneo rovesciamento di opinione rispetto a quando ricopriva la carica di Sottocapo di S.M. della Marina, “…riteneva fallace l’opinione dei circoli politici che l’Italia potesse venir messa fuori combattimento già al primo momento di guerra” affermando invece di “…dover agire contro l’Italia con il tagliarne i rifornimenti, interromperne il traffico, bombardare i porti, distruggerne i sommergibili, e poi conquistare la Libia e le colonie africane dell’Africa Orientale. Se in seguito a queste operazioni la flotta italiana fosse costretta a uscire per dar battaglia, gli inglesi avrebbero ben gradito lo scontro”.[27] Pareri sempre riecheggiati in tutti i vertici navali anglo-francesi succedutisi in quei mesi fino all’ 8 agosto 1939. Ancora l’11 agosto 1939, il giorno dopo cioè l ‘ entrata in vigore della linea di demarcazione nel Mediterraneo tra inglesi e francesi in caso di guerra tra Francia e Gran Bretagna da un lato e Germania e Italia dall’altro, il ministro degli esteri francese Georges Bonnet dichiarava al Generalissimo Gamelin, Comandante Supremo francese allora ostile all’idea di una guerra con l’Italia: ”Che gli inglesi avrebbero preferito un’Italia ostile”.[28]
L’efficiente Stato Maggiore della M. F., d’intesa con l’I.S.T.D.C., impostò quindi nel luglio ‘39 un piano alternativo contro Lero, ritenuta meno difesa di Rodi, abbozzando un’operazione abboracciata ma non priva di originalità.
Poiché i cantieri inglesi non sarebbero mai riusciti a consegnare gli attesi mezzi da sbarco prima dell’autunno l’I.S.T.D.C. riprese l’idea, già ventilata in primavera, di impiegare dei paracadutisti per la prima ondata. Data l’assoluta mancanza di unità aviotrasportate in Gran Bretagna l’Ammiragliato si rivolse nel luglio del 1939 all’Armée de l’Air nel cui seno operavano, dal 1936, sia pure nell’indifferenza generale, due piccoli battaglioni di “Chasseurs parachutistes”. Nonostante l’opposizione del prudente Gamelin[29] il ministro dell’aeronautica francese Guy Le Chambre, acceso interventista, autorizzò in agosto l’invio di una missione navale inglese presso il campo d’addestramento dei parà in Algeria.
Relativamente al previsto, indispensabile appoggio dei mezzi corazzati (l’esercito turco aveva particolarmente insistito su questo punto essendo, al pari quello ellenico, completamente sprovvisto di carri armati) la marina britannica pensò di adattare con una rampa di fortuna allestita a Malta due vecchi “X Lighters” di vent’anni prima inviandoli d’urgenza ad Alessandria, dove avrebbero trovato dodici carri spediti in tutta fretta dalla Gran Bretagna.
Quanto all’appoggio della caccia poiché le consegne dei promessi aerei alla Turchia erano appena iniziate al principio dell’estate e in seguito all’improvviso trasferimento, il 15 luglio 1939, del 50° Stormo d’Assalto su “BA.65” da Treviso alla Cirenaica che aveva comportato l’immediato riposizionamento dei tre soli squadron da caccia della RAF, tutti su “Gladiator”, nel triangolo Gibilterra-Nairobi-Singapore sui campi egiziani del Delta[30] l’onere della protezione della forza da sbarco sarebbe ricaduto sui diciotto nuovi “Sea Gladiator”, giunti nel Mediterraneo nel maggio del 1939, oltre che sulle artiglierie AA della squadra, che avrebbe appoggiato anch’essa l’operazione.
Il supporto ravvicinato agli improvvisati mezzi da sbarco sarebbe stato infine fornito dall’incrociatore antiaereo Carlisle “a poor, old thing” da 4 200 t secondo l’opinione di Sir Stanley Goodall, Direttore del Genio Navale inglese. Il vecchio incrociatore classe “C” fu pertanto affrettatamente modificato in Gran Bretagna con l’applicazione di controcarene (Che ridussero la velocità a soli 21 n) sbarcando, per di più, ben 400 t, tra zavorra e pesi mobili, allo scopo di diminuire il più possibile l’immersione.
Capovolgendo il parere negativo emesso qualche mese prima l’I.S.T.D.C. giudicò inoltre “sufficienti” le cortine fumogene stese dai ricognitori imbarcati per l’occultamento delle evidentemente più spendibili fanterie turche.
Come misura cautelativa la marina britannica requisì in quello stesso mese di luglio il transatlantico Aquitania il quale trasportò a Malta, assieme al trasporto truppe Neuralia, ai primi di agosto, i riservisti della Marina rimpatriando al ritorno centinaia di familiari del presidio[31].
Sotto il punto di vista internazionale i sempre più frequenti sconfinamenti di velivoli della R.Aeronautica nei cieli greci e il continuo afflusso di truppe italiane in Albania e nel Dodecaneso nei mesi di giugno, luglio e agosto[32] preoccuparono grandemente il governo di Atene che, in preda a comprensibili angosce, si decise soltanto il 24 agosto a ordinare una confusa mobilitazione parziale. Questi stessi avvenimento non smossero viceversa di un millimetro la posizione turca. Dopo aver riaffermato, l’11 giugno 1939, la solidità dell’alleanza militare con la Romania[33] (I governanti Jugoslavi viceversa, per quanto anch’essi membri della Piccola Intesa si dimostrarono ben consci dell’intrinseca fragilità del loro stato multinazionale optando subito per una stretta neutralità, pur cercando di trescare contemporaneamente un po’ con tutti), il ministro degli esteri di Ankara Saragioglu affermò apertamente in parlamento il primo di luglio:” Ho un consiglio da dare a coloro che dubitano dell’amicizia franco-turca : che non cerchino mai di mettere alla prova codesta amicizia. Per essi tale prova non potrebbe essere che nefasta“. Dichiarazione rinnovata dallo stesso ministro nella stessa sede, e in modi solo apparentemente più blandi, otto giorni dopo: “La Turchia … pur continuando a perseguire una politica di pace, ha abbandonato la via della neutralità per aderire al fronte delle democrazie…Malgrado l’adesione della Turchia al fronte delle democrazie essa è decisa a intrattenere normali relazioni con tutti gli stati, ivi compresi la Germania e l’Italia”.
L’Ammiragliato, pur apprezzando altamente queste dichiarazioni, pensò bene di rincuorare i nuovi alleati inviando in visita ad Istanbul a fine luglio la nave da battaglia Warspite, ammiraglia della M. F., con quattro CT. Dopo una settimana di festeggiamenti le navi dell’ammiraglio Cunningham condussero una serie di manovre aeronavali combinate con i turchi al largo di Cipro e davanti ad Alessandretta. Le esercitazioni spaziarono dal bombardamento costiero alla simulata ricerca ed intercettazione di un ipotetico convoglio salpato dall’Italia per la Libia, con il gran finale di uno sbarco simulato turco.[34] In quegli stessi giorni infine 15 delle 24 divisioni del male armato ma sempre rispettato esercito turco (Il resto del dispositivo prevedeva 8 grandi unità nel Caucaso contrapposte ad altrettante divisioni sovietiche ed una davanti a Rodi) venivano spostate in Tracia in prossimità del il confine bulgaro per le grandi manovre annuali.
Contrordine
L’11 agosto 1939, dopo un grave e non equivoco colloquio tra Hitler e il professor Carl Burckhardt, Alto Commissario della Lega delle Nazioni per la Città libera di Danzica, la crisi tedesco-polacca, in gestazione sin dal maggio di quell’anno gravido di eventi, ebbe un’improvvisa, decisiva accelerazione raggiungendo infine, sei giorni dopo, le prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
Questa nuova, cruda realtà travolse nel giro di pochi giorni le “guerre mancate” del Mediterraneo.
Sulle prime, in omaggio al tradizionale metodo del “wait and see”, il gabinetto inglese rimase fedele agli originari progetti mediterranei. Ben presto però le sempre più evidenti preoccupazioni del War Office, del tutto impreparato materialmente e psicologicamente ad affrontare la Germania, e le più discrete perplessità dei vertici dell’Ammiragliato spinsero per la metà d’agosto il governo di Londra ad adottare una posizione di compromesso – soluzione storicamente disastrosa in campo militare- comunicando a Cunningham il divieto di bombardare l’Italia dal mare o dall’aria all’inizio delle ostilità per non impressionare negativamente l’opinione pubblica statunitense e per non offrire al nemico la possibilità di accusare gli inglesi di aver attaccato per primi le popolazioni civili. Questo ammonimento, secondo le ricordate memorie dell’ammiraglio britannico, non preoccupò più di tanto il destinatario, assolutamente convinto che “…un paio di giorni dopo l’apertura delle ostilità, il nemico gli avrebbe fornito il modo di agire”.
Nel corso del consiglio dei ministri del 22 di agosto infine Chamberlain e Halifax, ormai certi dell’imminente firma del Patto di non aggressione russo-tedesco, capovolsero la politica fino a quel momento seguita dichiarando agli esponenti del partito conservatore di preferire, date le circostanze, un’Italia neutrale. In quella stessa occasione il Premier decise di riconvocare le Camere, aggiornate il 4 agosto con decreto reale per due mesi di vacanze allo scopo di lasciare mano libera al governo.
Il giorno dopo il gabinetto francese ribadì questa decisione nel corso di una drammatica seduta durante la quale il Capo di S.M. della marina, ammiraglio Darlan, insistette inutilmente per un attacco all’Italia facendo mettere a verbale che :”…se fossimo stati in grado di attaccare l’Italia in una situazione favorevole, avremmo conseguito importanti successi”[35] Peraltro due ore prima dell’inizio di quest’agitata riunione il Generalissimo Gamelin, d’intesa con il Presidente del consiglio Daladier, aveva inviato d’urgenza per via aerea il già ricordato generale Weygand in Siria con l’incarico di mettere in piedi la futura “Armée du Levant” destinata a una futura campagna nel Caucaso.
Con cartesiana coerenza e dando prova di un’onestà intellettuale degna di miglior storia il governo di Parigi aveva infatti deciso di far pagare all’Unione Sovietica, prima o poi, il patto scellerato concesso da Stalin alla Germania all’origine dell’ormai inevitabile nuova guerra mondiale anziché permettere a Mosca di “banchettare allegramente sulle rovine della civiltà europea”.
In Italia, ora che il mancato intervento anglo-francese non era più dato per scontato, gli originari piani offensivi[36] nei Balcani rientrarono per il 16 di agosto, nonostante il Capo del governo propendesse ancora per l’intervento col supporto del parere favorevole del Capo di S. M. dell’Esercito e di quelli, sia pure espressi con qualche riserva, dei vertici dell’Aeronautica e della Marina[37]. La neutralità italiana, violando un impegno di assoluta riservatezza contratto con Berlino quella stessa mattina, fu comunicata ufficiosamente dal titolare di Palazzo Chigi all’Ambasciatore inglese già il 26 di agosto. Dichiarazione rinnovata in termini drammatici la sera del 31 agosto liberando così definitivamente l’Ammiragliato dall’ipoteca mediterranea.
L’inverno degli scontenti
Per una curiosa serie di coincidenze lo scoppio della pace nel Mediterraneo lasciò profondamente insoddisfatte tutte le potenze coinvolte.
A prescindere dall’Unione Sovietica che, dopo il voltafaccia di Roma, sospese dalla mattina alla sera le pattuite forniture di petrolio e carbone all’Italia precipitando il nostro paese in una gravissima crisi energetica basta ricordare il tono sconsolato con cui non più tardi del 20 settembre 1939 Mussolini dichiarò al generale Guzzoni, Comandante Superiore in Albania: “Della guerra contro la Grecia non se ne fa più nulla”.[38]
In quegli stessi giorni l’ammiraglio Cunningham commentava desolatamente che: “La nostra posizione nei confronti dei turchi era ben lontana dall’essere chiara. Ci fu detto di mantenere conversazioni con loro, ma personalmente ero dubbioso sul loro desiderio di conversare, ed ero perfettamente sicuro che, se mai, lo avrebbero fatto per chiederci consegne di materiali bellici dei quali noi stessi scarseggiavamo”.
Ankara era rimasta molto seccata dall’inattesa piega presa dalla situazione internazionale; il 17 settembre, per di più, il gabinetto inglese, in seguito all’invasione russa della Polonia orientale, subito definita dal Times “Una pugnalata alla schiena”, decise, dopo un accanito dibattito, di non dichiarare guerra all’Unione Sovietica “per il momento”, sospendendo addirittura gli aiuti militari promessi a Turchia e Iran per non irritare Mosca[39]. Neppure la stipulazione, il 19 ottobre 1939, di una formale alleanza militare tra Londra, Ankara e Parigi in luogo della ben più generica intesa del 12 maggio, bastò a rassicurare i turchi, sempre ossessionati dalla paralizzante minaccia sovietica. In quella stessa occasione infatti e in seguito a una subito precedente, lunga visita a Mosca Saragioglu insistette, al momento della sottoscrizione del trattato, per l’inserimento di un protocollo aggiuntivo, subito reso di pubblico dominio, che specificava espressamente come il nuovo patto non potesse costringere la Turchia a un’azione armata contro l’U. R.S.S.[40]
Anche l’I.S.T.D.C. fu una delle vittime della mancata guerra con l’Italia in quanto l‘organizzazione venne sciolta allo scoppio del conflitto, disperdendone il personale, sul presupposto che: “Non ci sarebbero state operazioni combinate durante questa guerra”.
Nell’ottobre del 1939 però il War Office, con un subitaneo ribaltamento della propria posizione prebellica, si fece sostenitore di una nuova operazione anfibia nel Mediterraneo, arrivando addirittura a fornire i fondi per l’ordinazione di otto ulteriori “L.C.A.”. Il mutato atteggiamento dei generali inglesi era legato alla secolare strategia britannica dell’allargamento dei conflitti europei che vedevano coinvolta la Gran Bretagna allo scopo di compensare, in qualche modo, la tradizionale scarsa consistenza del Royal Army. Poiché ciò poteva avvenire soltanto attaccando l’Unione Sovietica o l’Italia, il War Office, con il sotterraneo appoggio dei vertici della Royal Navy(per niente entusiasti del progetto del nuovo Primo Lord dell’Ammiragliato Churchill, partorito il 7 settembre 1939 e formalizzato il 6 ottobre sotto il nome di ”Operazione Catherine”, di forzare il Baltico con la Squadra del Mediterraneo, progressivamente rimpatriata dalla fine di settembre)preferiva naturalmente affrontare il ben noto nemico meridionale piuttosto che la pur sempre misteriosa potenza orientale. La marina britannica riprese così a studiare sin da 16 ottobre la conversione in L.S.I. delle tre Mn classe “Glen” ancora in costruzione (Il Breconshire era ormai in stato di avanzata trasformazione per la progettata intrusione attraverso il Belt.
Il primo dicembre 1939 inoltre, visto che non era più il caso di contare sulla collaborazione delle fanterie turche, la marina inglese costituì la Royal Marines Brigade, una nuova, grande unità della forza pari a circa la metà delle analoghe formazioni dell’esercito formata, come chiosa discretamente, a pg. 9, Nick Van Der Bijl nel popolare fascicoletto “The Royal Marines 1939-93”, edito dalla Osprey a Londra nel 1994, “per un ruolo che comprendeva operazioni contro l’Italia nel Mediterraneo”.
Nel dicembre ‘39 l’inizio della guerra russo-finlandese sembrò rinfocolare l’idea patrocinata dal governo francese -e da un’importante frazione di quello britannico- di un rapido, facile conflitto contro l’ U.R.S.S. condotto mediante piccole azioni spregiudicate che spaziavano da un bombardamento di sorpresa (senza dichiarazione di guerra) dei pozzi petroliferi sovietici di Baku e Batum, fonte di oltre l’80% dell’intera produzione di idrocarburi russa, a missioni corsare di sommergibili anglo-francesi nel Mar Nero, fino a una vera e propria invasione del Caucaso e del Turkestan favorita dalla rivolta di quelle stesse popolazioni che, meno di due anni dopo, accoglieranno festosamente l’arrivo delle truppe tedesche fornendo più di un milione e mezzo di volontari alla Wehrmacht [41].
L’ultimo piano
Già all’inizio del nuovo anno però i primi, inequivocabili sintomi di esaurimento della piccola Finlandia riportarono Londra sul consueto binario della futura guerra all’Italia spingendo l’Ammiragliato a ricostituire, il 20 gennaio 1940, l’I.S.T.D.C.. Il comitato interforze mise subito mano ai vecchi piani per la presa di Rodi, operazione ritenuta condizione necessaria e sufficiente per convincere la Turchia a dichiarare la guerra all’Italia dopo che il Foreign Office si era lasciato scappare a mezza bocca con i turchi la comprensione di Londra per le legittime aspettative di Ankara sul quel poi non tanto remoto possedimento della mezzaluna[42].
E’ noto che il primo marzo 1940 Londra proclamò il “blocco totale” del carbone tedesco destinato all’Italia catturando in mare tredici piroscafi carbonieri italiani provenienti dall’Olanda.
Quello stesso mese la Royal Navy, che aveva ormai completato la prima serie dei nuovi mezzi da sbarco, ordinò altri 30 “L.C.A.”, oltre a 18 “L.C.M.”.
Per l’appoggio aereo lo Stato Maggiore della Royal Navy non aveva ancora deciso se appoggiarsi sulla nuova NPA Illustrious, allora in corso di completamento, o se contare sull’ospitalità, nonostante tutto, degli aeroporti turchi per il nuovo gruppo da caccia su “Morane Saulnier 406” appena arrivato in Siria.
La necessità di fornire alle truppe anfibie e ai paracadutisti francesi (il cui concorso, in sede di pianificazione, era ulteriormente cresciuto portando a un’espansione del corpo) un sempre maggiore appoggio corazzato spinse inoltre l’I.S.T.D.C. ad avviare la sollecita trasformazione a Southampton di due navi traghetto delle ferrovie (Daffodil e Princess Iris) in navi da sbarco. Le nuove unità avrebbero dovuto varare, attraverso uno scivolo poppiero, fino a dodici “LCM”.
Contemporaneamente tre cisterne in costruzione (Derwentdale, Dewdale ed Ennerdale), da 16 750 tsl, furono convertite in “Landing Ship Gantry”, con una capacità di ospitare, sollevare e filare in mare mediante le grandi gru di bordo ben 15 “LCM” carichi.
Il progressivo coinvolgimento nella strategia mediorientale dell’Armée du Levant, destinata ad essere trasferita da Beirut a Salonicco poco prima dello scoppio delle ostilità nel Mediterraneo in una riedizione, riveduta e aggiornata, dell’occupazione alleata della neutrale città greca durante la Grande Guerra con l’importante variante questa volta della complicità del governo ellenico, aveva nel frattempo modificato i locali equilibri politici, tanto che il settore del Dodecaneso e di Cipro, precedentemente riserva di caccia della marina Britannica, fu infine attribuito, nella primavera del 1940, alla responsabilità del Contrammiraglio De Carpentier che avrebbe così diretto, con un apposito S. M. misto anglo-francese, l’invasione delle Isole italiane dell’Egeo.
Ancora una volta però gli avvenimenti congiurarono contro quest’ennesima variazione del piano originario in quanto il previsto show-down alleato con l’Italia, dapprima fissato per poco dopo la fine delle previste operazioni di occupazione della Norvegia, fu spostato di un mese in seguito alla riuscita contro-invasione tedesca durante la quale, tra l’altro, la nuova componente anfibia della marina inglese ricevette il battesimo del fuoco, in verità non molto felice.
Nel maggio del 1940 poi l’improvvisa offensiva della Germania in Occidente fece crollare ancora una volta i lungamente accarezzati piani di sbarco in Egeo costringendo la Royal Navy a rinviare la partenza dei Royal Marines e delle nuove unità anfibie per Alessandria.
L’invasione di Rodi fu infine cancellata ufficialmente a Beirut il 20 maggio 1940 nel corso di una conferenza tripartita anglo-franco-turca presieduta dal Maresciallo Tchakmak, Comandante Supremo delle FFAA di Ankara.
Cunningham e i francesi comunque continuarono a tenere per buone le previste, comuni occupazioni di Salonicco e della Baia di Suda a Creta, operazioni entrambe da realizzare nell’ imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia.
Di lì a tre giorni il Comandante della M. F. assicurò inoltre l’Ammiragliato che la sua squadra avrebbe mantenuto uno stretto blocco del Dodecaneso, assicurando per converso il traffico alleato nell’Egeo ed eseguendo appena possibile una puntata nel Mediterraneo Centrale. Queste affermazioni, giudicate troppo remissive dal governo inglese, allora nel pieno della crisi di Dunkerque e alla disperata ricerca di un’urgente, grande vittoria per motivi di politica estera ed interna, furono all’origine, il 5 giugno 1940, di una cortese ma ferma lettera del Primo Lord del Mare Sir Dudley Pound al suo vecchio subordinato dove si affermava :” E’ stato osservato che le disposizioni navali del vostro messaggio del 23 maggio sono puramente difensive, ma io non le ho interpretate in tale senso e so che è vostro ardente desiderio approfittare di tutte le occasioni per colpire duramente il nemico entro i limiti che vi consentono le vostre limitate forze”. Il giorno dopo Sir Dudley rincarò nuovamente la dose scrivendo a Cunningham:” Ho detto al primo Ministro che non deve temere che voi stiate sulla difensiva ma egli ha insistito per far mandare alcuni telegrammi a tutti i comandanti in capo”. Quest’ultimo messaggio si incrociò con un telegramma “sgarbato e irritante”, secondo la prosa di Cunningham, del nuovo Premier Churchill con cui il Primo ministro inglese esigeva il prima possibile la tanto attesa azione generale con la squadra italiana. Naturalmente il 6 giugno il Comandante della Mediterranean Fleet assicurò che nell’imminenza dell’inizio delle ostilità sarebbe uscito in mare con le corazzate per proteggere la prevista occupazione di Suda e Salonicco, salvo spingersi eventualmente verso Malta in caso di sbarchi italiani. Il miglior modo per proteggere l’arcipelago maltese, soggiunse, sarebbe stato probabilmente un bombardamento di Augusta, ma questa operazione sarebbe stata tentata solo in un secondo tempo visto che in quel momento la principale questione era inevitabilmente quella del destino della potente flotta francese ad Alessandria. L’8 giugno infine un messaggio dell’Ammiragliato sospese all’ultimo istante l’invio di una divisione di incrociatori leggeri inglesi a Suda, con a bordo un battaglione britannico, destinati a prendere possesso della baia. Contemporaneamente un convoglio francese salpato da Beirut il giorno prima sul quale viaggiava il primo scaglione della 86° Division d’infanterie d’ Afrique, riceveva un analogo ordine rientrando al porto di partenza[43].
Con la scia di quei “croiseurs auxiliaires” carichi di truppe algerine svanì dalla storia l’ultima traccia di un grande piano curato e realizzato con dovizia di mezzi, ingegno e grande dedizione per quasi due anni.
Il fatto che quest’ambizioso progetto non sia mai stato realizzato, venendo anzi fino ad oggi misconosciuto e dimenticato, non inficia naturalmente l’importanza delle sue conseguenze, decisive per lo sviluppo delle relazioni tra l’Italia e le altre grandi potenze navali di quegli anni. In fin dei conti, allora come oggi, il potere navale è tanto più efficace quanto meno rumore fa.
Epilogo
Al di là dei sottili e complessi disegni evocati in questo studio, di per sé stessi di non facile od opportuna divulgazione presso l’opinione pubblica di quegli anni, non c’è da restare sorpresi se l’entrata in guerra dell’Italia, dopo tanti anni di non sempre sportiva e corretta rivalità un po’ dappertutto nel mondo, sia stata salutata con sincero entusiasmo da diversi ambienti in Gran Bretagna. Tra gli altri Sir Alexander Cadogan, dal 1938 Sottosegretario permanente presso il Foreign Office, annotò nel proprio diario la sera del 10 giugno 1940, giorno della dichiarazione di guerra italiana:”Sono nel complesso soddisfatto. Ora possiamo dire ciò che pensiamo di questi cani rognosi”[44].
Meno di un mese dopo il sogno inglese di una rapida guerra sul mare sarebbe naufragato nelle acque di Punta Stilo.
[1] S.W.Roskill, The Navy at War, Ed. Collins, Londra, 1960, pg. 26.
[2] Per un più completo quadro dello sviluppo del naviglio da sbarco tra le due guerre, con particolare riguardo alle innovative soluzioni italiane, mi permetto di rimandare, scusandomi per l’ineleganza dell’autocitazione, al mio: “Quelle cinque navi segrete e incomprese”, RID, 12/93.
[3] La prima documentata collaborazione tra i servizi sovietici e quelli italiani ai danni di Londra risale comunque al 1924. Mario Silvestri, La decadenza dell’Europa occidentale, Ed. Einaudi, Torino, 1979, pg. 539.
[4] Successivamente ribattezzate “Z Lighters” per distinguerle dalle“X Lighters”da 160 t del 1915, le prime motozattere della storia realizzate per lo sbarco a Gallipoli. Una volta completate le unità tipo “Z”, giudicate troppo lente, furono adibite a mezzi portuali, al pari delle 32 vecchie “X ” ancora esistenti allo scoppio della guerra.
[5] Il 10 novembre 1938 il governo inglese annullò d’autorità il progetto di riarmo votato dal parlamento del Cairo appena tredici giorni prima. Il programma egiziano prevedeva un cospicuo rafforzamento della sola marina (Sei torpediniere, altrettanti dragamine, un avviso e almeno due sommergibili, oltre a 21 unità minori). Le risorse resesi così disponibili furono tutte destinate a beneficio dell’esercito, destinato a salire in pochi mesi da 10 000 a 40 000 uomini. Il provvedimento fu peraltro vanificato dai gravi problemi di inquadramento ed addestramento che affliggevano l’Armata Reale Egiziana.
[6] In una lettera datata 29 gennaio 1939 e destinata alla cognata Lady Chamberlain, da anni residente presso l’ Excelsior di Roma e amica personale di Mussolini, il Primo Ministro inglese affermava che la visita appena compiuta in Italia aveva superato le aspettative e che la possibilità di evitare un’altra guerra era enormemente aumentata. Lo stesso giorno però, nel corso di una riunione del Gabinetto ristretto non destinata questa volta alla censura postale italiana, il Premier britannico affermò che: “ … il Duce non aveva mai afferrato le occasioni offertegli e non aveva deflesso dall’assoluta lealtà verso Hitler…tale atteggiamento lo aveva deluso…”. Richard Lamb, “The Ghosts of Peace, 1939-1945”, ed. Michael Russel, Salisbury, 1987, pg.94.
[7] La Mediterranean Fleet(M.F.), basata sin dal 1924 su 5 navi di linea e una NPA, aveva ceduto nel settembre del 1938 alla Home Fleet la Squadra incrociatori da battaglia, formata dall’Hood e dal Repulse, e i 5 incrociatori pesanti della Prima Divisione, a causa della minaccia posta dalle corazzate tascabili tedesche al traffico in Atlantico. A partire dall’inizio del 1939, dopo che Londra aveva inaspettatamente rifiutato all’Australia l’attesa cessione di almeno una corazzata classe” R”, (primo nucleo della futura “Pacific Fleet”, pianificata sin dal 1922 e da attivare dopo l’avvenuto completamento della base di Singapore, inaugurata nel 1938 dopo quindici anni di lavori), il Cruiser Squadron 1 era comunque rientrato nel Mediterraneo. Nel febbraio ’39 poi, subito dopo che l’Ammiragliato, “data l’eccezionale gravità della situazione”, aveva confermato al vertice della M. F. l’ ammiraglio Pound, nonostante fosse ormai spirato il tradizionale triennio di comando oltremare, giungeva a Malta dalla Gran Bretagna l’ appena rimodernata NB Ramillies. Quello stesso mese la Terza Flottiglia Motosiluranti, destinata all’inizio dell’anno ad Hong Kong, veniva dirottata in navigazione congiungendosi alla Valletta con le unità gemelle della 1st Flotilla. Subito dopo la M.F. fu arricchita dall’arrivo della neocostituita 4th Destroyer Fl., su 8 grossi CT della classe” Tribal”, i più potenti schierati dalla Royal Navy, cui seguirono, nel giro di quattro mesi, 8 modernissimi CT, appena completati, delle classi “J” e “K”. Il rafforzamento straordinario della marina inglese nel Mediterraneo fu ulteriormente accelerato, nel luglio 1939, quando fu disposta la partenza per Alessandria, nuova sede, dall’aprile di quell’anno, della Squadra del Mediterraneo, della NB Royal Oak, dei tre incrociatori antiaerei Coventry, Cairo e Calcutta e, dalla lontana Cina, degli 8 CT della classe “D”, con il loro conduttore di flottiglia. L’imprevisto precipitare della crisi di Danzica nell’agosto 1939 colse peraltro quasi tutte queste ultime unità ancora nel corso della navigazione di trasferimento.
[8] L’originario progetto, coltivato sin dal 1935, di annientare il nucleo da battaglia italiano mediante un attacco di aerosiluranti da effettuare dopo il tramonto contro la base di Taranto, era stato accantonato dal settembre del 1938 dall’Ammiraglio Pound. Il comandante della M.F. riteneva infatti troppo elevati i rischi per la NPA avvicinatrice. In quella stessa occasione fu altresì disposta la sospensione dell’addestramento ai decolli e agli appontaggi notturni. I piani per la “Notte di Taranto” furono ripresi soltanto nel settembre del 1940 quando l’introduzione di nuovi serbatoi ausiliari per gli aerosiluranti “Swordfish” raddoppiò praticamente il raggio d’azione dei velivoli, consentendo alla NPA Illlustrious di lanciare infine l’11 novembre successivo i propri aerei imbarcati all’altezza di Cefalonia.
[9] Ancora nel 1928, come ricorda Raffaele Guariglia, ambasciatore a Parigi prima della guerra e ministro degli esteri durante il governo Badoglio nel 1943, Londra propose inutilmente all’ Italia una “facile” guerra contro la Turchia. Il conflitto avrebbe assicurato a Roma quella zona d’influenza intorno a Smirne già promessa nel 1917 e a cui il governo italiano aveva rinunciato nel 1921, liberando contemporaneamente i domini britannici e francesi in Medio Oriente dalla pesante ipoteca del regime revanscista di Kemal Ataturk. Raffaele Guariglia, Memorie, Ed. E.S.I., Napoli, 1950, pp. 95-97.
[10] L’insospettata efficienza di cui diede prova la marina turca, sostanzialmente formata dalla vecchia nave di linea Yavuz e da quattro moderni CT completati in Italia nel 1932, nel corso di una visita a Malta nel 1936 giocò un ruolo decisivo per il ritorno di Ankara nel “Grande gioco” internazionale. Quello stesso anno la Gran Bretagna, mediante la Convenzione di Montreaux, consentì il riarmo degli Stetti. Nel 1938 la Royal Navy aiutò inoltre i turchi a posizionare proprio in prossimità delle tragiche spiagge di Gallipoli l’ultima, superstite torre binata da 280 di quella stessa vecchia corazzata Turgut Reis che già aveva tirato nel 1915 contro gli “ANZAC” australiani e neozelandesi. L’anno dopo l’Ammiragliato si impegnò a fornire due torri binate da 343 mm già appartenenti all’incrociatore da battaglia Tiger, radiato nel 1932. Una coppia dei nuovi pezzi di g. c. avrebbe dovuto proteggere i Dardanelli e l’altra il Bosforo. John Campbell, Naval Weapons of World War two, Ed. Conway, Londra, 1985, pg. 30.
[11] Nei due mesi successivi lo stesso pilota, l’allora celebre recordman Sydney Cotton, eseguì, sempre su un bimotore “Lockheed 12A”, degli accurati rilievi da 7 000 m di quota di Gallabat, nell’Amhara, e dell’Oltregiuba in vista di un’improvvisa infiltrazione, senza dichiarazione di guerra, della scarse forze inglesi allora disponibili in Africa Orientale allo scopo di congiungersi con le bande dei ribelli etiopi ancora in attività. Questa semplice puntata, secondo i disegni del War Office di Londra, sarebbe stata sufficiente a indurre all’azione alcuni importanti esponenti del movimento separatista italiano in AOI determinando automaticamente la secessione dell’Impero.
[12] Le 5 belle motonavi da 10 000 tsl (Glenorchy, Breconshire, Glenearn,Glengyle e Glenroy), impostare per conto della Glen Line nel ‘38-39 per il traffico misto con Hong Kong e ben presto requisite dalla Royal Navy, sono delle autentiche “navi chiave” per comprendere l’evoluzione del pensiero strategico inglese durante l’ultima guerra mondiale. A parte la prima unità, completata nel 1939 come mercantile e assegnata ai convogli per Malta, salvo essere affondata la notte sul 13 agosto 1942 dalla R. Motosilurante MS 31, le altre 4 Mn furono destinate nell’aprile del 1939 a navi da sbarco per l’azione contro Rodi. Come si vedrà meglio in seguito questi stessi mercantili furono designati sei mesi dopo come rifornitori di squadra veloci per la prevista irruzione di una flotta inglese nel Baltico. Nel 1940 le ultime tre Mn ritornarono all’originaria vocazione anfibia ricevendo un potente armamento AA e una certa protezione orizzontale mentre il Breconshire, già adattato a cisterna veloce protetta, scrisse delle belle pagine come violatore di blocco per Malta fino alla sua perdita, nel corso della “Seconda Sirte”, il 23 marzo 1942.
[13] Andreas Hillgruber, Storia della Seconda Guerra Mondiale, Ed. Laterza, Bari, 1994, pg. 19.
[14] Mariano Gabriele, 1939: vigilia di guerra nel Mediterraneo, Rivista Marittima, luglio 1984, pg. 24.
[15] Mario Silvestri, op. cit., pg. 456.
[16] Anche se all’epoca della Crisi cecoslovacca la forza dell’esercito inglese in tutto il Medio Oriente non raggiungeva i quarantamila uomini, pressoché appiedati e senza un solo comando di divisione, il War Office ritenne sufficiente un’intensificazione dell’addestramento, sulla base di nuovi criteri, e un limitato rimodernamento di alcuni dei materiali già esistenti in loco per assicurare un’efficiente difesa contro gli italiani. Le poche risorse disponibili furono viceversa destinate alla riorganizzazione in funzione antisovietica delle quattro divisioni dell’Indian Army schierate lungo la tormentata frontiera afgana. Fu soltanto il 5 marzo 1939 che il gabinetto Chamberlain ridefinì ufficialmente le priorità militari imperiali, per la prima volta dal 1923, posponendo la difesa di Singapore rispetto al pericolo rappresentato da U.R.S.S. e Italia in Medio Oriente Di conseguenza il Royal Army stabili di costituire in Palestina per la primavera dell’anno successivo una nuova armata su 4 divisioni britanniche e tre ANZAC, oltre a due divisioni africane in Kenya e a vari reparti minori. E’ da notare che in quest’ occasione il Ministero del Tesoro, fino a quel momento assolutamente contrario, dato il grave stato delle finanze pubbliche, ad aumentare le spese per la difesa, accordò, sia pure con qualche difficoltà (…grudging Treasury approval…), i fondi necessari, sul presupposto che nel giro di una anno, una volta risolta la situazione nel Mediterraneo, le spese dei dicasteri militari sarebbero state drasticamente ridotte. Paul Kennedy, The Realities Behind Diplomacy, Ed.Fontana, Londra, 1981, pg. 304.
[17] Jon Kimche, Il secondo risveglio arabo, Ed. Garzanti, Milano, 1970, pg. 187.
[18] Già nel settembre del 1938 il Generale Alberto Pariani, Capo di S. M. del R.Esercito e principale artefice della politica militare italiana tra il 1934 e l’ottobre del ‘39, annotava nel proprio diario: “Se ci si attende una offensiva inglese questa è casomai diretta verso l’Egeo.”. Fortunato Minniti, Profilo dell’iniziativa strategica italiana dalla “non belligeranza” alla “guerra parallela”, Storia Contemporanea, Ed. il Mulino, Bologna, Dicembre 1987, pg. 1163.
[19] Alfredo Brauzzi, I mezzi d’assalto della Marina italiana, Supplemento alla Rivista Marittima, giugno/1991, pg.37.
[20] Williamson Murray, “The role of Italy in British strategy 1938-1939”, Journal of the Royal United Services for Defence studies, 3/9/1979.
[21] E’da notare che in quella stessa ultima decade di marzo del 1939 il più volte menzionato Generale Pariani diede il via, d’intesa col governo, alla famosa trasformazione delle divisioni italiane da ternarie a binarie (Cioè su due soli reggimenti in luogo dei classici tre). In quell’occasione il C. S. M. dell’Esercito dichiarò al generale Carboni che aveva potuto dar corso a questa riforma, naturalmente destinata a sconvolgere la forza armata, sul presupposto politico che non ci sarebbero state guerre nei prossimi dieci anni. Quasi contemporaneo e parimenti lapidario il giudizio di Ciano riportato nel suo Diario il 12 gennaio secondo cui: “Gli inglesi non si vogliono battere. Cercano di retrocedere il più lentamente possibile, ma non vogliono battersi”.
[22] Tra il primo giugno e il 3 luglio 1939 la Marine Nationale, dopo un’assenza durata cinque anni, riportò le NB Provence, Lorraine e Bretagne da Brest a Tolone. Fino a quel momento l ‘ Escadre mediterranea si era praticamente basata soltanto sui sette incrociatori pesanti della marina francese contrapposti ad altrettante, analoghe unità italiane rafforzate, dall’estate del 1937, dalle NB rimodernate Giulio Cesare e Conte di Cavour. Il ritorno delle corazzate francesi fu uno degli argomenti affrontati dal capo di S. M. ammiraglio Cavagnari durante l’incontro con il suo omologo tedesco ammiraglio Raeder a Frederichshafen il 20-21 giugno 1939.
[23] La posizione britannica, pur concorde nella sostanza, non fu del tutto univoca. Sia il governo sia il Comando del Medio Oriente, dopo averne discusso sin dalla fine del dicembre 1938, erano giunti nel gennaio successivo alla comune conclusione dell’opportunità di una radicale soluzione militare del problema italiano. Nell’ambito dell’influentissimo Comitato dei Capi di S. M. londinese viceversa le posizioni delle varie FFAA erano molto differenti tra loro. L’esercito si oppose invero con tutte le proprie forze a una soluzione drastica con l’Italia, capitolando infine davanti all’autorità politica soltanto dopo il 24 luglio del 1939 quando l’India Office accettò di inviare la 4°Divisione Indiana, in pratica la sola riserva dell’intero dispositivo imperiale nel Medio ed Estremo Oriente, a presidiare Aden ed il Canale di Suez da possibili -e temuti- colpi di mano italiani. Soltanto dopo l’arrivo, a metà d’agosto, di questi attesi rinforzi (che, non preavvisati, nonostante il Patto di Pasqua Italo-Britannico di Pasqua del 1938 per il mantenimento dello status quo nel Mediterraneo-Mar Rosso, provocarono, il 2 agosto 1939, una violenta protesta di Mussolini e Ciano) la M.F., fino a quel momento la sola, valida difesa delle posizioni inglesi a Est di Suez, poté considerarsi libera per l’Egeo e il Mar Ionio. A sua volta la RAF aveva dovuto ammettere il 20 marzo 1939 di non disporre di un adeguato deterrente in quanto i circa cento bombardieri a lungo raggio disponibili del tipo “Whitley” allora schierati dal Bomber Command non erano in grado di causare danni sostanziali in Italia. Quest’ammissione d’impotenza, dopo anni di campagne douhettinae, provocò il drastico ridimensionato, destinato a protrarsi per anni, del peso politico e strategico dell’aeronautica britannica, subito relegata al ruolo di ausiliario delle altre FFAA nel Mediterraneo e altrove. La Royal Navy, ben attenta a non commettere gli stessi errori della più giovane consorella, adottò infine un atteggiamento ambiguo sostenendo il 27 marzo 1939 che l’eventuale minaccia aerea tedesca nel Mediterraneo avrebbe potuto causare ai francesi diversi problemi, pur affermando che la flotta inglese era in grado di bloccare ed attaccare senza difficoltà le coste italiane.
[24] Per completezza bisogna aggiungere che la prima stesura del piano per l’invasione dell’Albania redatta dall’Ufficio Piani dello S. M. della R.Marina il 28 marzo 1939 e denominata £Esercitazione speciale di sbarco”, parlava di un” Esigenza A. G.”, dove “A” stava per Albania e “G” per Grecia. Secondo le “Carte Pariani” fu solo il 6 aprile, poche ore prima dell’invasione dell’Albania, che il governo italiano decise di dirottare in navigazione il Gruppo navale agli ordini dell’ammiraglio Oscar Di Giamberardino salpato da Taranto alla volta di Corfù, indirizzandolo verso l’obiettivo alternativo di Santi Quaranta.
Dopo aver incominciato a occuparsi con insolita frequenza del Dodecaneso a partire dal 23 maggio 1939 l’Ufficio Piani compilò, il 3 luglio 1939, una memoria sul “Valore di Salonicco da parte nostra in caso di conflitto in Egeo”, consegnando quindi il 17 agosto di quello stesso anno al C. S. M. della Marina il piano completo dell’“Operazione speciale G”.
Vale ancora la pena di ricordare che il Reggimento San Marco fu mobilitato il 15 agosto 1939 in vista di un’imminente operazione anfibia da eseguire per settembre. Secondo Fortunato Minniti ”Il Diario Storico del Comando Supremo” Storia Contemporanea, febbraio 1987, pp. 178-179 :“…nell’agosto del 1939 la risposta ad un attacco anglo-francese all’Italia sta, secondo Mussolini, nella difesa dei confini affiancata da una duplice offensiva: una sicura, contro la Grecia, per tendere a Salonicco (Dopo aver occupato Corfù); ed una probabile, per di più solo dopo aver scatenato moti interni, contro la Iugoslavia…”. Il discreto invio di quattro divisioni in Libia a partire dalla tarda primavera, l’improvviso arrivo di velivoli da caccia in Africa Orientale, specialità assente in AOI dal giugno’ 36 al 30 maggio 1939, la predisposizione, nel luglio del 1939, di un ordine di operazione per un attacco di sei “barchini esplosivi” “M. T. ” contro le unità maggiori della M.F. alla fonda nella rada di Alessandria(non ancora munita a difesa e priva di un bacino in grado di accogliere eventuali unità maggiori danneggiate), predisponendo contemporaneamente i mezzi d’assalto e 13 velivoli avvicinatori “S.55” del 35°Stormo B.M.(Progetto rientrato alla fine dell’estate del’ 39 per problemi tecnici vari ai mezzi d’assalto in caso di mare mosso), oltre al richiamo nell’esercito “per istruzione” delle classi 1902 e 1910 e al rafforzamento dei presidi del Dodecaneso, saliti da dodici a circa 25 000 uomini, completano questo complesso quadro.
[25] Nonostante la generica garanzia anglo-francese offerta alla Grecia il 13 aprile il governo britannico lamentò sempre un atteggiamento ambiguo da parte di Atene, spesso accusata di essere troppo timorosa davanti ai voleri di Roma. Anche per questo motivo Londra e Parigi, avendo ormai scelto il cavallo turco, fornirono soltanto limitati aiuti militari ai greci nel’ 39-40, diluendoli, per di più, col contagocce. Franco Bandini, Vita e morte segreta di Mussolini, Ed. Mondadori, Verona, 1978, pg. 133.
[26] S.W.Roskill, op. citata, pg. 21.
[27] A. B. Cunningham, L’odissea di un marinaio, Ed. Garzanti, Milano, 1952, pp. 24-25.
[28] Franco Bandini, Tecnica della sconfitta, Ed. Longanesi, Milano, 1969, pg. 205.
[29] Dopo un ciclo di ispezioni lungo le Alpi, in Corsica e in Tunisia condotto all’inizio di luglio in seguito alle imminenti, grandi manovre del R.Esercito in Piemonte, il generalissimo Gamelin proibì, fino alla fine del successivo mese di agosto, qualsiasi misura di mobilitazione lungo le frontiere italiane. Nella stessa occasione i vertici del Gran Quartier Generale francese riposero definitivamente nel cassetto i sogni napoleonici, accarezzati la primavera precedente, di un’irruzione nella Valle Padana per risalire quindi l’Adige penetrando in Germania. Gli ambiziosi progetti dell’Armée (Che prevedevano inoltre un’offensiva in Tripolitania e la conquista del Sahara italiano partendo dal Ciad, oltre a incursioni della Marine Nationale lungo le coste liguri e nel Tirreno) divennero ben presto argomento di discussione nei salotti parigini, come ricorda nei suoi diari per ben sette volte(sempre con rimpianto per la splendida occasione perduta)Pierre Drieu la Rochelle, il celebre scrittore collaborazionista francese morto suicida nel marzo del 1945.
[30] Nel 1939 la RAF allineava in tutto nel Medio ed Estremo Oriente 31 Squadron, con poco più di 500 aerei da combattimento, generalmente antiquati. Rispetto agli anni precedenti gli unici rinforzi erano rappresentati da due nuovi squadron da caccia su “Gladiator” ,il 94° e il 112° , arrivati in Egitto tra il marzo e il maggio’ 39 a bordo della vecchia NPA Argus. Per i restanti reparti l’aeronautica britannica preferì procedere sostituendo i vecchi ed usurati velivoli in loco con macchine moderne. Questo ricambio, destinato ad essere ultimato per la primavera del 1940, fu sospeso dopo lo scoppio della guerra in Europa riprendendo, in piccola scala, soltanto nell’ aprile del’ 40. A loro volta la R. Aeronautica e l’Armée de l’Air disponevano, ciascuna, di circa 1 200 aerei da guerra. La maggioranza degli apparecchi francesi era naturalmente concentrata nel nord in funzione antitedesca. Chaz Bowyer, RAF Operations 1918-1938, Ed. W. Kimber, Londra, 1988.
[31] Peter Elliot, the Cross and the Ensign, a Naval History of Malta 1798- 1979, Ed. Granada, Londra, 1980, pg. 115.
[32] Tra l’altro i carristi bolognesi del CCCXI Battaglione inviati a Rodi nel luglio del 1939 non trovarono di meglio durante il passaggio del Canale di Corinto che intonare una canzone composta a bordo il cui ritornello faceva: ” Andremo nell’Egeo/Prenderem pure il Pireo/E se tutto ci va bene/piglieremo pure Atene”. Luigi Mondini, Prologo del conflitto Italo-Greco”, Ed. Treves, Roma, 1945, pg. 160.
[33] A questo proposito è bene ricordare che dal giugno del 1939 le sempre tese relazioni di Bucarest con l’Ungheria e la Bulgaria erano improvvisamente peggiorate fino ad arrivare, il 22 di quello stesso mese, alla mobilitazione degli eserciti, forti, rispettivamente, di 30, 20 e 15 divisioni (A loro volta le aeronautiche dei tre paesi balcanici allineavano 300, 300 e poco meno di 100 aerei da combattimento di relativamente moderne prestazioni). Alcuni gravi incidenti di frontiera ebbero quindi luogo ai primi di agosto in Transilvania. Per completezza è opportuno ricordare ancora che il dispositivo sovietico lungo le frontiere rumene era, tradizionalmente, su 7 divisioni.
A sua volta la Grecia schierava in tutto 16 divisioni: 14 sul confine bulgaro, una in Epiro ed una a Creta, allineando altresì meno di cento tra caccia e bombardieri. Nello stesso periodo Il R.Esercito, che nel luglio del 1939 aveva incorporato la divisione albanese ereditata da Re Zogu, disponeva in Albania dell’equivalente di divisioni binarie. L’annunciato avvicendamento di queste truppe, già da qualche mese di stanza oltreadriatico, con altrettante, nuove grandi unità in corso di afflusso subì, a partire dal giugno’ 39, diversi ritardi ”tecnici” permettendo in pratica di raddoppiare le forze terrestri disponibili. Da notare che la consistenza e lo schieramento di quest’armata italiana di formazione era del tutto analogo a quello messo in opera un anno dopo per l’invasione della Grecia.
[34] A. B. Cunnigham, L’Odissea di un marinaio, Ed. Garzanti, Milano, 1952, pg. 25.
[35] Franco Bandini, op. cit., pg. 202.
[36] Quello stesso giorno il C. S. M. Generale, Maresciallo Badoglio, ordinò di rielaborare il piano di guerra contro la Grecia redatto il mese precedente partendo questa volta dal presupposto del mancato concorso bulgaro. Il risultato, consegnato tre giorni dopo, delle nuove specifiche prevedeva la necessità di 18 divisioni per muovere da Coriza verso Salonicco e Atene, con una direttrice di marcia secondaria su Gianina. Nella nuova versione non era previsto il concorso dell’esercito per l’occupazione delle isole Ionie. Quest’evenienza, da effettuare con le sole forze navali, era stata studiata a sua volta dall’Ufficio Piani della R.Marina sotto il nome di “Operazione Speciale C”(Corfù), studio completato in bozza il 22 agosto.
[37] Secondo il Diario (edito da Rizzoli, Milano, nel 1982) di Giuseppe Bottai, influente Ministro dell’Educazione Nazionale, il 31 agosto Ciano, in preda a una violenta alterazione, gli avrebbe confidato che il generale Pariani, C. S. M. dell’Esercito e Sottosegretario alla Guerra con funzioni di ministro, aveva ripetutamente e verbosamente assicurato gli interessati che l’Esercito era in grado di affrontare la situazione. Il generale Valle. C.S.M. della R.Aeronautica, si sarebbe viceversa lamentato apertamente di diverse deficienze, prime tra tutte la mancanza di moderni velivoli da caccia e di adeguate riserve di carburanti. Più dignitosamente e mantenendo – come notò anche l’allora Ministro degli Scambi e Valute Felice Guarnieri – il più assoluto riserbo il C.S.M.della R.Marina, ammiraglio Cavagnari, “a posto con la nafta”, dichiarò che la Marina, “pronta a farsi affondare”, dato il rapporto esistente di 6 a 1 per le navi da battaglia, avrebbe fatto il proprio dovere. Affermazione che riecheggia la celebre lettera scritta dall’ammiraglio Raeder, C.S.M.della Marina tedesca dal 1928 al 1943, a Hitler il 3 settembre 1939, in occasione della dichiarazione di guerra inglese alla Germania. In questa comunicazione ufficiale il Comandante della Kriegsmarine, dopo aver elencato le deficienze della propria forza armata, affermava che: “…le nostre unità di superficie sono tanto inferiori a quelle della flotta inglese, sia per il numero sia per la potenza, che possono soltanto dimostrare di saper morire eroicamente, a premessa della successiva ricostruzione”.
[38] Mario Cervi, Storia della Guerra di Grecia, Ed. Mondadori, Verona, 1972, pg. 29.
[39] Richard Lamb, op. cit. pp. 124-125.
[40] In realtà i sentimenti turchi, al di là di una comprensibile prudenza, non erano cambiati anche se Ankara pretendeva, prima di impegnarsi contro l’Italia, che l’U.R.S.S. fosse messa in condizioni di non nuocere mediante ripetuti bombardamenti aerei sui pozzi petroliferi di Baku, come riferì l’ambasciatore francese René Massigli al suo ministro degli esteri il 1°aprile 1940.
[41] Carlos Caballero Jurado, Foreign Volunteers of the Wehrmacht 1941-45, Ed. Osprey, Londra, 1983, pg. 12.
[42] PRO, FO.371-101-29932 (Situation of the Dodecanese).
[43] Jacques Sicard, “Grandes unites et ecoles de l’Armée du Levant”, Militaria, n.76/91.
[44] D. Dilkis, The Diaries of Sir Alexander Cadogan 1938-1945, Ed. Cassel, Londra, 1971, pg. 210.